Pace, dialogo e coesione sociale
Il nostro tempo può essere definito da molti come “aspro”. Spazi e persone sembrano aver perso il proprio senso di comunanza, come fossero inevitabilmente costretti ad un costante e claustrofobico conflitto. Intanto le ineguaglianze si allargano, e la migrazione, l’aumento dell’incertezza nel sentire comune, il terrorismo e l’ascesa del populismo quotidianamente minano l’unità all’interno del territorio nazionale, dell’Europa anche a fronte delle sue endemiche contraddizioni interne e dei crescenti sentimenti euro-scettici, in diversi contesti nel mondo.
Un perdita del sentire comune che accentua il tema delle “differenze culturali” che diventano oggetto di attenzione politica, scientifica e sociale poiché sempre più gli stati e le grandi città si trovano a reagire sulla nozione di multiculturalismo che spesso, viene rappresentato come un problema sociale aperto che attende soluzioni.
Il tema è rilevante poiché senza processi attenti e orientati alla pace e alla coesione, multiculturalismo e differenze culturali posso sfociare in sofferenze, conflittualità, paura e minaccia di annullamento, terrore di perdere le proprie identità e di non sentirsi al sicuro nelle proprie case e in ciò che si percepisce essere il proprio territorio; dall’altra, il mondo dei migranti, si può percepire la frustrazione di un sogno sul quale si è investito tutto o quasi, andare in fumo: l’appartenenza al nuovo mondo che devono per scontata non è invece accettata, facendo scattare rabbia e risentimento.
È in questo clima, e proprio per far fronte ad esso, che la Commissione Europea negli ultimi 10 anni ha rilanciato con forza crescente la necessità di rivedere la cultura quale nuovo asse portante della sua agenda. Vision e mission degli organi europei appaiono chiare: la cultura va sempre più intesa come un fattore chiave della crescita e dell’innovazione, che incoraggia un senso di appartenenza e di coesione, che migliora la qualità della vita e promuove la pace, il dialogo interculturale e lo sviluppo socioeconomico all’interno e al di fuori dei confini nazionali. In linea con tutto questo, “The Cultural and Creative Cities Monitor 2017”, ricco paper della Commissione, è l’ultimo e forse il più concreto esempio di un nuovo modo di ripensare l’essenza stessa del vivere e con-vivere nei e coi nostri territori partendo dalla cultura e dalla creatività.
Partendo dalla “Cultural Vibrancy” come mezzo di sviluppo, e promuovendo lo scambio reciproco e l’apprendimento condiviso tra città, territori e comunità dell’intero panorama continentale, il focus, anche in questo caso, è chiaro: determinare ed esplicitare nuovi indicatori, scale e assetti differenti, che identifichino e confermino la crescente centralità del ruolo della cultura – intesa come cultural heritage, come retaggio storico culturale comune ricevuto e da trasmettere, attraverso il riconoscimento del valore personale (non economico) del bene comune e della responsabilità che questo comporta – e della creatività nello sviluppo comunitario di un ambiente propedeutico al benessere sociale, al miglioramento delle prospettive socioeconomiche ed alla resilienza tra inclusività, coesione e cittadinanza.
Diventano quindi attenzioni primarie il promuovere la tutela effettiva dei diritti umani a livello universale e regionale, con particolare riferimento ai contesti di prevenzione dei conflitti, delle operazioni di peacekeeping e dei processi di pacificazione e post-conflitto; promuovere la tutela dei diritti dei soggetti a più alto rischio di violazioni (donne, minori, disabili, minoranze) secondo quanto previsto nei principali strumenti giuridici internazionali applicabili; attuare le politiche di prevenzione e repressione delle violenze di genere, specialmente nei contesti di crisi; promuovere la parità di genere con l’obiettivo di ridurre il cd. gender gap e realizzare l’empowerment femminile; favorire la partecipazione femminile nei processi di pace, in particolare nelle attività di peacemaking, peacekeeping e di peacebuilding, al fine di valorizzare il contributo che le donne possono apportare all’evoluzione delle società.